Nota 197 – A cosa si deve la fama del Signore degli Anelli?
di Mauro Toninelli, a cura di Greta Bertani
Perché il Signore degli Anelli sia diventato così famoso, resta una delle domande più interessanti a cui rispondere. Certo è che il romanzo piace in quanto tale e la narrazione è coinvolgente per chi voglia leggerlo. Tolkien stesso scrisse, a tal proposito: “Ho riflettuto molto sulla questione prima di iniziare a scrivere Il Signore degli Anelli; e quell’opera non è particolarmente indirizzata ai bambini o a qualsiasi altra classe di persone. Ma a chiunque apprezzi una lunga storia emozionante, del tipo che io stesso apprezzo. Non sono particolarmente interessato ai bambini, e certamente non a scrivere per loro: cioè rivolgendomi direttamente ed espressamente a quelli che non riescono a comprendere il linguaggio adulto. Scrivo cose che potrebbero essere classificate come fiabe non perché desideri rivolgermi ai bambini (che in quanto bambini non credo siano particolarmente interessati a questo tipo di narrativa) ma perché desidero scrivere questo tipo di storia e nessun altro. Faccio questo perché, se non gli applico un titolo troppo magniloquente, trovo che il mio commento al mondo sia espresso più facilmente e più naturalmente in questo modo. Non sono consapevole di alcuna repressione esercitata su di me dalla “vita ordinaria”. Poiché un gran numero di adulti sembra apprezzare ciò che scrivo, un numero tale da rendermi felice, non ho alcuna necessità di provare a sfuggire verso un pubblico diverso e (possibilmente) meno esigente. Spero che “commento al mondo” non suoni troppo solenne. Non ho scopi didattici, e nessun intento allegorico. (Non mi piace l’allegoria -quella propriamente detta: la maggior parte dei lettori sembra confonderla con la significatività o l’applicabilità- ma è una questione troppo lunga per trattarla qui.) Tuttavia un lungo racconto non può venire fuori dal nulla; e non è possibile riordinare le materie primarie in schemi secondari senza esprimere sentimenti e opinioni sul proprio materiale”[1].
Si veda anche la Lettera n° 329: “L’obiettivo che l’autore cercava di centrare era che [l’opera] venisse apprezzata in quanto tale, che fosse letta con piacere letterario. Quindi ogni lettore al quale l’autore sia riuscito (con sua grande soddisfazione) a ‘piacere’ (appassionandolo, avvincendolo, commuovendolo ecc.), dovrebbe, se desidera che altri provino lo stesso piacere, sforzarsi a parole proprie, usando solo il libro stesso come fonte, di indurli a leggerlo per il piacere letterario. Quando lo avranno letto, alcuni lettori (suppongo) vorranno commentarlo, e perfino analizzarlo, e se questa è la loro mentalità essi sono, ovviamente, liberi di farlo, purché prima lo abbiano letto tutto con attenzione”[2].
La risposta alla domanda va innanzitutto cercata nella lettura de Il Signore degli Anelli. Poi si potranno avanzare ipotesi[3]. Una? Forse il semplice fatto che in queste vicende è presente una verità che la realtà di tutti i giorni cerca di eliminare, nascondere, rendere privata. Si pensi alla questione della morte[4] oppure alla questione dell’uomo in relazione a Dio[5] o, ancora, alla visione della storia dentro un disegno più ampio[6] o alla fatica per raggiungere obiettivi che non sono solo e sempre individuali (l’intera vicenda di Frodo). E poi il sacrificio (Frodo o Gandalf), l’amore (Aragorn-Arwen, Farmir-Éowin, Faramir-Denethor, Bilbo-Frodo…), l’amicizia (Merry, Pipino, Sam, Frodo, Grassotto Bolgeri; Gimli e Legolas…); prendere atto che c’è qualcuno che ci dice che non è tutto relativo (Aragorn a Eomer), avere la certezza che si può sbagliare, ma non siamo il nostro errore e si può comunque rimediare (Boromir, Gollum, Merry…), che non si è soli nella fatica ma c’è sempre una forza, più grande persino di quella del male, che gioca al tuo fianco (la forza in gioco).È un po’ come trovare un amico che ti mette davanti alla realtà della vita, nella sua magnificenza e nella sua drammaticità tutta, ma che ti sta a fianco, e che ti dice che anche nella notte più buia esiste una speranza: “È sempre l’alba la speranza degli uomini” dice Aragorn al Fosso di Helm. E anche nella situazione più difficile ci sono lacrime che non sono un male e l’augurio, sempre in quel momento, è l’andare nella pace. Al di là, anche della morte, c’è la speranza che “ci sia ben più dei ricordi” anche se “in tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione”[7]. Forse è un elenco non esaustivo o forse lo diviene per chi ha incontrato sul suo cammino le opere di Tolkien, così come capita a chi incontra situazioni che a lui fanno vibrare una parte dell’anima alla luce della propria storia.
C’è una risposta narrativa alle domande di senso e, proprio perché narrata, più profondamente e realmente comprensibile. Così scriveva Lewis, recensione su Time and Tide de Il Signore degli Anelli: “Questo libro è come un fulmine a ciel sereno; tanto radicalmente differente, tanto imprevedibile per il nostro tempo come le Songs of Innocence lo furono per il loro. Dire che in un periodo quasi patologico nel suo antiromanticismo come il nostro è ritornato il romanzo eroico, bucolico, eloquente, audace, risulta inadeguato. Per noi che in questo strano periodo ci viviamo, tale ritorno e il genuino conforto che ne deriva è, senza ombra di dubbio, l’elemento importante. Ma nella storia del Romanzo in sé, storia che rimonta all’Odissea e ancor più in là, questo non è un semplice ritorno, ma piuttosto un passo avanti o una rivoluzione: la conquista di nuovi territori. […] Un simile libro ha certo i suoi lettori predestinati, oggi persino più numerosi e critici di quanto si sia sempre realizzato. Ad essi un recensore deve dire poco, eccetto che qui ci sono bellezze che trafiggono come spade o bruciano come il gelo dell’acciaio: qui c’è un libro che vi spezzerà il cuore. Essi sapranno che queste sono buone nuove, buone oltre ogni speranza”[8].
[1] Lettera n° 215.
[2] Cfr. Lettere n° 329
[3] Cfr. M. Toninelli, “Per vedere il mare” in AA.VV. Minas Tirith, 24, L’Arco e la Corte, Bari, 2021.
[4] Cfr. Lettera n° 186
[5] Cfr. Lettera n° 183
[6] Cfr. “Sulle Fiabe” in Albero e Foglia, Rusconi, Milano 1976 (1° ed Italiana) e il cap.2 de Il Signore degli Anelli.
[7] Cfr. Il Signore degli Anelli, Appendice A, I, 5.
[8] H. Carpenter, La vita di J.R.R. Tolkien, Ares, Milano