Nota 64 - Tolkien e MacDonald
di Virginia Cavalli, Alberto Nutricati ed Emilio Patavini, a cura di Greta Bertani
Tolkien affermò in varie occasioni di non amare particolarmente MacDonald, contrariamente all’amico e collega Clive Staples Lewis, il quale arrivò persino a redigere un’antologia dedicata allo scrittore scozzese; quest’ultimo riveste addirittura il ruolo di guida virgiliana all’interno del suo romanzo The Great Divorce (1945).
Si può certamente notare un cambio di atteggiamento da parte di Tolkien nel corso del tempo. Si passa da un iniziale apprezzamento verso MacDonald, ritenuto in grado di comporre “storie potenti e belle”[1], a una progressiva presa di distanza a motivo della predilezione dell’autore scozzese per l’allegoria, nei riguardi della quale il Professore nutriva una certa e più volte palesata avversione[2]. Il cambio di prospettiva e di giudizio è evidente mettendo a confronto il saggio Sulle fiabe, contenente il testo rielaborato di una conferenza tenuta nel 1939, e la lettera del 7 settembre del 1964 all’editore Michael di Capua, il quale aveva chiesto a Tolkien di scrivere la prefazione a una nuova edizione de La chiave d’oro; testo definito dal Professore una fiaba nella quale gli sforzi dell’autore ebbero “pieno successo”[3].
Solo l’anno prima, il 16 gennaio 1963, nel rispondere a una lettera pubblicata sull’Observer, nella quale venivano elencate le “delizie del libro [Lo Hobbit]”[4] – e tra queste la presenza della “favolistica vittoriana”[5] – Tolkien aveva replicato dicendo di non apprezzare particolarmente le fiabe vittoriane, fatta eccezione per quelle di MacDonald[6].
Nel 1964, però, il suo giudizio diventa più marcato: “Non sono un fervente ammiratore di George MacDonald quanto lo era C.S. Lewis; ma ho una buona opinione di questo suo racconto [La chiave d’oro]. L’ho citato nel mio saggio Sulle fiabe.”[7]. Per arrivare, poi, ad un’intervista del 2 marzo 1966 a Henry Resnick, pubblicata con il titolo di “An Interview with Tolkien” sulla fanzine di fantascienza Niekas, riporta una conversazione telefonica con Tolkien, il quale avrebbe affermato: “Penso di essere nato con quello che si potrebbe definire una mente inventiva, e i libri che mi sono rimasti in mente rimangono come quelle cose che ho acquisito e non sembrano molto simili al libro stesso. Per esempio, io adesso trovo di non poter sopportare affatto i libri di George MacDonald a nessun costo. Ora trovo di non poterlo sopportare. […] Ecco perché non mi piace molto George MacDonald; è un’orribile vecchia nonna”[8].
Dal canto suo, Lewis non aveva dubbi nel considerare MacDonald un vero e proprio genio, capace di creare e dar vita ai miti, alla stregua di Kafka o Novalis. Lewis è chiarissimo a tal proposito: “MacDonald è il più grande genio di questo tipo che io conosca, benché io stesso non saprei classificare tale genio”[9].
Tornando a Tolkien, Humphrey Carpenter, nella sua ben nota biografia sull’autore de Il Signore degli Anelli, rivela come fu proprio la richiesta dell’editore Michael di Capua a spingere il Professore a rileggere, a distanza di decenni, La chiave d’oro. Peraltro, Tolkien non era solito accettare di scrivere prefazioni, ma questa volta fece un’eccezione.
Tolkien si trovava, all’epoca, in un periodo particolarmente buio della sua vita, dovuto al pensionamento e all’inesorabile avanzare dell’età. I sentimenti suscitati in Tolkien da tali circostanze vennero amplificati dalla scomparsa di C.S. Lewis.
Secondo Carpenter, fu per reagire a questo stato di cose e per dimostrare a se stesso di essere ancora in grado di scrivere che Tolkien accettò la proposta dell’editore. Tuttavia, “trovò il libro di MacDonald molto più lontano dal suo gusto di quanto non ricordasse”[10], proprio a causa della massiccia presenza di allegorie. Carpenter riporta un appunto del Professore nel quale il lavoro di MacDonald veniva definito “malscritto, incoerente e brutto”, eccezion fatta per alcuni, pochi, “passaggi memorabili”[11]. Tolkien non scrisse mai la prefazione richiesta da Michael Capua. Ciò nonostante, le riflessioni abbozzate per la prefazione divennero il nucleo per un lavoro del tutto autonomo: Il fabbro di Wootton Major[12].
In ogni caso, malgrado il cambio di giudizio, accentuatosi verso la vecchiaia di Tolkien, è possibile riscontrare alcune analogie tra gli scritti del Professore e quelli di MacDonald, tra cui la concezione della montagna: la descrizione presente ne Lo Hobbit (1937) ricalca le parole all’interno de The Princess and Curdie (1883): “Ma all’interno, chi può dire cosa vi si trova? Caverne della più terribile solitudine, i loro muri spessi miglia, luccicanti di minerali, oro o argento, rame o ferro, stagno o mercurio, forse tempestate di pietre preziose – forse un ruscello, con pesci senza occhi, che scorre, scorre incessantemente freddo e gorgogliante, attraverso sponde incrostate di carbonchio e topazio dorato, o su ghiaia le cui pietre soni rubini e smeraldi, forse diamanti e zaffiri – chi può dirlo?” Non solo: il maggiordomo del re degli Elfi Silvani presente nel nono capitolo de Lo Hobbit ricalca la figura del maggiordomo del re in The Princess and Curdie, in quanto entrambi bevono i migliori vini del sovrano nella cantina di questi. Un ulteriore punto di incontro tra i due autori riguarda la raffigurazione dei Nani tolkieniani e dei minatori del ciclo di Curdie: entrambe le categorie di personaggi vengono raffigurate con delle gravine (mattock, nell’originale) in mano. Inoltre, la figura degli Ent nel legendarium tolkieniano sembrerebbe ricalcare i personaggi arborei presenti in Phantastes, con cui il protagonista Anados ha a che fare, in quanto questi ultimi sono dotati della capacità di dialogare e sono in grado di spostarsi autonomamente. Chiaramente, in questo caso specifico non va sottovalutata la componente relativa al folklore anglosassone, lingua in cui la parola ent ha come significato “gigante”.
[1] J.R.R. Tolkien, “Sulle fiabe” in Il Medioevo e il fantastico, Bompiani, Milano 2020, p. 218.
[2] cfr. Lettera n° 262.
[3] J.R.R. Tolkien, “Sulle fiabe”, op. cit., p. 218.
[4] G. McDonald, The Princess and Curdie, Xist Publiching, Irvine 2015, p. 3.
[5] Ibidem.
[6] cfr. Ivi, p. 51.
[7] Lettera n° 262.
[8] Da un’intervista del 2 marzo 1966 a Henry Resnick, pubblicata come “An Interview with Tolkien” sulla fanzine di fantascienza Niekas (Issue No. 18, Late Spring 1967, pp. 37-43).
[9] C.S. Lewis (a cura di), George MacDonald. An anthology 365 readings, Harper Collins e-book, New York 2009, p. XXVII.
[10] H. Carpenter, J.R.R. Tolkien. Una biografia, Lindau, Torino 2016, p. 363.
[11] Ibidem.
[12] Per un approfondimento si vedano la Postfazione di A. Nutricati a G. MacDonald, La chiave d’oro, Lo Studiolo, Sanremo 2021; F. Ferrari, “Tolkien al crocevia del fantasy” in I Quaderni di Arda, vol. 1 (Tolkien e la letteratura della Quarta Era), Eterea Edizioni, Roma 2020; G. Kreglinger, “MacDonald, George (1824-1905)” in M.D.C. Drout (ed.), J.R.R. Tolkien Encyclopedia: Scholarship and Critical Assessment, Routledge, New York-London 2007, pp. 399-400.