Foglia di Niggle
Scheda bibliografica
di Daniela D'Alessandro
Informazioni Bibliografiche
Titolo: Foglia di Niggle
Titolo originale: Leaf, by Niggle | Niggle’s Leaf
Autore: J.R.R. Tolkien
Anno di pubblicazione: 1945 – The Dublin Review | 1964 – in Tree and leaf
Anno di pubblicazione in Italia: 1976 – in Albero e foglia, Rusconi | 2022 – Bompiani
La Storia
Niggle è un pittore non molto affermato e di buon cuore. Infatti, spesso aiuta il suo vicino, Mr. Parish, un uomo con una gamba sola.
È costretto ad affrontare un viaggio, per nulla entusiasta, perché partire significherebbe allontanarsi dal suo lavoro. È ossessionato da un quadro che era iniziato da una foglia sospesa nel vento ed era diventato un albero; e l’albero cresceva, slanciando un’infinità di rami e protendendo le più bizzarre radici. Il dipinto, poi, si era arricchito di foreste e uccelli posati sui rami ed era diventato così grande che Niggle aveva iniziato a usare una scala per spostarsi da una parte all’altra della tela.
Il viaggio si avvicinava e Niggle avrebbe dovuto dare un senso al quadro perché la partenza non poteva essere rimandata a lungo; l’unico modo per evitare di lasciar tutto era la pensione pubblica ma questa, dove il pittore viveva, non esisteva. E intanto nella sua mente si affastellavano scorci e montagne innevate. Aveva bisogno di concentrazione, ma le distrazioni eran tante: fu chiamato in città come membro di una giuria, alcuni vicini lo andarono a trovare per un tè in compagnia e Mr. Parish si ammalò, seguito dalla moglie.
Ecco, Mr. Parish non era il vicino ideale per Niggle: era un abile giardiniere mentre il pittore non curava affatto il proprio giardino; inoltre, l’anziano vicino non era incline alla pittura perché sulle tele di Niggle vedeva solo macchie verdi e grigie e righe nere. Un giorno bussò alla porta di Niggle chiedendogli di andare dal medico per la moglie e dal falegname per riparare una parte del tetto di casa sua che si era danneggiata con il vento. Avrebbe fatto da sé, ma la lombaggine non gli permetteva di camminare a lungo, né tantomeno di sistemare temporaneamente il tetto, cosicché chiese al vicino se potesse dargli delle assi e della tela per riparare il buco ed evitare che gli piovesse in casa. Guardò le sue tele. Niggle, che non sapeva dir di no e aveva una bicicletta che Mr. Parish non sapeva e non poteva guidare, sbrigò le faccende del vicino il prima possibile, per tornare a dipingere e terminare il quadro prima di partire. Al muratore, non trovandolo, lasciò un biglietto e il medico arrivò il giorno dopo per curare sia Mrs. Parish che Niggle stesso che, pedalando tra pioggia e vento, era finito a letto con la febbre. Nel delirio vedeva meravigliosi arabeschi di foglie e rami tortuosi che gli si disegnavano nella mente e sul soffitto.
Dopo una settimana di convalescenza, provò a dipingere, ma l’Ispettore delle Case bussò alla porta del capanno per verificare che, dopo la tempesta, la situazione fosse sotto controllo: casa di Mr. Parish era allagata e quella di Niggle non versava in condizioni migliori. Dal momento che il muratore era impegnato a riparare danni ben più gravi, a Niggle fu rimproverato di non aver fornito assistenza al suo vicino con le tele e le travi che usava per dipingere.
In quel momento entrò un’altra persona che si annunciò come il Conducente, incaricato di accompagnare Niggle durante il viaggio che lo attendeva. Il pittore cadde nello sconforto più totale, non ebbe il tempo di fare i bagagli, portò con sé solo una valigetta con pochi pennelli e tavole e partì.
All’arrivo lo attendeva un facchino che cominciò a chiamarlo a squarciagola e, per la fretta di raggiungerlo, Niggle dimenticò la valigetta sul treno. Svenne e fu portato all’Infermeria dell’Ospizio di Lavoro, dove lo curarono e gli affidarono le mansioni di scavo, carpenteria e verniciatura, a orari prestabiliti e, quando non lavorava, lo tenevano in una cella buia dove perse la cognizione del tempo.
Nella “prigionia”, piano piano, iniziò a trovare del buono nella routine e nell’ordinarietà del lavoro: quantomeno iniziava e terminava qualcosa al suono della campana, senza rimandare nulla e perdere tempo, il che si rivelò soddisfacente.
Un giorno cambiarono gli orari e lo relegarono esclusivamente allo scavo, il che gli spezzò la schiena e scorticò le mani. Il dottore ordinò riposo assoluto al buio. Un giorno sentì delle Voci provenire dalla camera attigua, voci autoritarie che esaminavano il suo caso e cercavano punti a suo favore: non aver preparato i bagagli, aver trascurato delle mansioni ed essere giunto come un pezzente, gli era costato il ricovero tra i poveri, ma aveva buon cuore e nel suo fascicolo era chiaro il suo comportamento nei confronti di Mr. Parish da cui, mai, si sarebbe aspettato gratitudine per tutte le incombenze risolte. Compresa quella volta che era corso sotto la pioggia con la sua bicicletta ammalandosi e rinunciando alla vera ultima occasione di terminare il suo quadro. E le Voci ricordarono che era un pittore e, seppur dei minori, una sua Foglia poteva valere qualcosa. Dal giorno seguente, gli fu riservato un Trattamento Mitigato e quando le voci si accorsero che aveva ascoltato tutto e gli chiesero se avesse domande in merito, la sua unica preoccupazione fu la salute di Mr. Parish.
Il giorno dopo, entrò luce dalle sue finestre, fu vestito con abiti comodi e gli furono dati uno speciale balsamo che gli guarì le mani doloranti, un tonico e un biglietto con cui recarsi alla stazione, dove lo attendeva il Facchino. Non seppe dove lo mandarono, ma quando il treno si fermò vide la sua bicicletta: montò su e iniziò a correre per il prato fino a che la vista di un’ombra non gli fece perdere l’equilibrio e cadere. E guardando in alto, vide il suo Albero, vivo e pieno di quelle foglie che aveva immaginato e dipinto, di quei rami sui cui si posavano uccelli straordinari che cantavano. C’era anche la Foresta intorno e le Montagne in lontananza. L’Albero era terminato, ma la Foresta mancava di qualche dettaglio che avrebbe curato solo con l’aiuto di Mr. Parish che di terra, piante e alberi, ne sapeva molto. Insieme decisero dove costruire la casetta e il giardino per iniziare i lavori e Niggle, tra i due, si dimostrò il più pratico nell’organizzare i lavori perché Mr. Parish si perdeva, spesso, a osservare l’Albero. Ringraziò Niggle per aver messo una buona parola su di lui con le Voci, aver chiesto di vederlo e avergli permesso di uscire prima per godere di tanta meraviglia. Anche al suo vicino era stato dato del tonico da diluire nell’acqua della Fonte della Foresta che dava vigore, schiariva la mente e guariva dai malanni.
Terminati i lavori, fecero una lunga passeggiata oltre il Limitare, dove un Pastore si offrì di far loro da guida; Mr. Parish non era pronto a proseguire, attendeva la moglie che, prima o poi, sarebbe arrivata e avrebbe reso ancora più bello quello che aveva costruito con Niggle, nel Paese di Niggle. Sì, era quello il nome del luogo che i due vicini avevano terminato ed era sempre stato nella mente del pittore, la cui lungimiranza fu finalmente riconosciuta da Mr. Parish che, semplicemente, non aveva mai creduto abbastanza in Niggle. Si salutarono stringendosi le mani e di Niggle non si seppe più nulla.
Il Consigliere Tompkins convenne che Niggle sarebbe dovuto finire nel gran Cumulo dei Rifiuti anzitempo perché la sua arte era inutile alla società e a nessuno giovavano fantasticherie su fiori e foglie. Infatti, come ricordò Atkins, con la sua tela più grande ripararono il tetto del vicino dopo il temporale e casa sua fu rilevata da un certo Perkins, che era solito andare a prendere il tè da Niggle, il cui nome in paese, ormai, veniva pian piano dimenticato. Atkins, che non riuscì mai a togliersi dalla testa un lembo del grande Albero dipinto usato per rattoppare un tetto distrutto, lo strappò via e lo fece incorniciare nel Museo Civico del paese che, dopo tempo, venne completamente distrutto da un incendio e della “Foglia di Niggle” non restò più nulla.
Le Voci decisero di dare un nome al luogo a cui Niggle e Mr. Parish diedero vita: Niggle’s Parish, e quando i due ne furono informati, risero così tanto da far riecheggiare le Montagne.