Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm
Scheda bibliografica
Di Daniela D'Alessandro
Informazioni Bibliografiche
Titolo: Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm
Titolo originale: The homecoming of Beorhtnoth Beorhthelm’s son
Autore: J.R.R. Tolkien
Anno di pubblicazione: 1953 – in Essays and studies
Anno di pubblicazione in Italia: 1995 – in Antologia di J.R.R. Tolkien, Rusconi | 2010 – Bompiani | 2019 – Bompiani
L’opera ruota intorno all’antico poema inglese La battaglia di Maldon ed è divisa in tre parti: inizio, epilogo in forma drammaturgica ipotizzato da Tolkien, dissertazione filologica sul termine Ofermod. L’edizione Bompiani del 2019 presenta, inoltre, prefazione di Wu Ming 4 e postfazione di Tom Shippey.
La Storia
La battaglia di Maldon (parafrasi sintetica di Daniela D'Alessandro)
[…] Allora Beorhtnoth, circondato dagli uomini del suo casato, schierò il suo esercito cavalcando; il parente di Offa lasciò volare verso la foresta il suo falco, mentre Eadric impugnò la lancia e lo scudo con mani salde. Oltre quella lingua di terra, il messo dei vichinghi chiamò il conte a gran voce, chiedendo ricchezze per i popoli del mare in cambio di amicizia, in modo da poter salpare e tornare nella sua terra.
Beorhtnoth, assetato di gloria, non era disposto a lasciarli andare senza aver prima provato la resistenza degli scudi inglesi e ordinò ai suoi uomini di schierarsi e prepararsi al combattimento. Gli eserciti erano divisi dai flutti e, a guardia del ponte, Ælfere e Maccus si mostrarono valorosi difensori. Ciò indusse i vichinghi a giocare d’astuzia e chiedere di poter guadare il fiume per combattere onestamente ad armi pari.
Allora il conte, spinto dall’orgoglio, concesse loro terreno ed ebbe luogo una feroce battaglia: scudi furono infranti, frecce volarono e uomini caddero da ambo le parti. Tra i primi a morire vi fu Wulfmær, nipote di Beorhtnoth, subito vendicato con la lancia nella gola di un avversario e la corazza squarciata di un altro a cui fu trapassato il cuore.
Fu allora che uno dei vichinghi colpì il vassallo del Re con un giavellotto che, prontamente, Wulfmær il giovane estrasse dal suo fianco e scagliò contro chi aveva osato ferire il suo signore, uccidendolo. Un avversario, approfittando della debolezza di Beorhtnoth, cercò di sottrargli l’armatura e la spada e spogliarlo delle sue ricchezze. Il conte cercò di reagire, ma i vichinghi furono più veloci e lo assalirono ferendolo e impedendogli di potersi rialzare sulle gambe. Invocò Dio e chiese protezione per la sua anima prima di essere barbaramente trucidato, assieme ai suoi uomini più fedeli che rinunciarono alla loro vita per vendicare l’amato signore.
Offa ed Ælfwin combatterono fino allo stremo delle forze, incitando i compagni a resistere per difendere l’onore delle loro famiglie e il giuramento di fedeltà prestato al loro congiunto e comandante. Molti, invece, fuggirono sperdendosi nella foresta: Odda e suo figlio Godric il vile, Godwin e Godwig che si allontanarono per salvarsi, dimenticando i tanti benefici ricevuti da Beorhtnoth.
(I) Morte di Beorhtnoth
Nell’agosto del 991 d.C., sotto il regno di Æthelred II, inglesi e scandinavi combatterono una sanguinosa battaglia presso Maldon. I Sassoni orientali, comandati dal conte Beorhtnoth figlio di Beorthelm, dovettero contenere l’avanzata vichinga di Olaf Tryggvason che, reduce dal saccheggio di Ipswich, risalì il fiume Blackwater per invadere l’Essex. Accampatisi sulla Northey Island, oltrepassarono la “causeway” (strada rialzata) con il benestare dello stesso Beorhtnoth, esortato a combattere onestamente. La disfatta degli inglesi fu totale: molti fuggirono, il conte fu decapitato e con lui morirono gli uomini del suo casato. In quanto difensore dei monaci e patrono della Chiesa, il suo corpo fu tradotto nell’abbazia di Ely da Torhthelm, giovane cresciuto con le storie dei grandi eroi e Tídwald, un ceorl, un contadino libero del rango più basso che guarda con sarcasmo alle gesta dei valorosi guerrieri e dietro le cui parole si cela il pensiero dell’autore.
(II) Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm
I due messi dell’Abbazia di Ely si recarono sul campo di battaglia a notte fonda per trovare i resti di Beorhtnoth tra i cadaveri dei combattenti. Trovando subito i corpi di Wulfmær, Ælfwine ed Ælfnoth, credettero che il conte dovesse giacere non distante da lì perché i suoi uscarli gli fecero, quasi certamente, da scudo con i loro corpi, in nome dell’eroismo nordico che li distingueva.
Riusciti a trovare Beorhtnoth, ne ricordarono grandezza, probità e generosità e guardarono con raccapriccio al trattamento che i danesi riservarono al loro signore, trovato senza testa secondo l’usanza vichinga.
Tídwald, con amarezza e sentenziando che la guerra mai sarebbe cambiata, prese il cadavere con l’aiuto di Torhthelm che intonò un canto funebre quando scorsero movimenti nell’oscurità; non poteva trattarsi di danesi perché, secondo il vecchio contadino, erano già lontani a bere birra e festeggiare la vittoria in nome degli Asi. Camminando più svelti, arrivarono al Blackwater, nei pressi della lingua di terra che separava i due eserciti prima dello scontro, ove si trovava il carro con cui avrebbero portato Beorhtnoth all’abbazia.
Osservando per bene la geografia del posto, Torhthelm non riuscì a capire come avessero fatto i danesi a oltrepassare il rialzo così facilmente, ignorando del tutto che potesse esser stato il conte stesso a permettergli di passare per orgoglio e vana nobiltà, per sfidare il fato e dar materia ai possenti canti.
(III) Ofermod
L’obiettivo dell’autore è quello di rivedere la traduzione del poema originale e, soprattutto, dare una diversa versione del termine di cui sopra, traducendolo con (soverchiante) orgoglio. Posto in questi termini, tutta l’opera assume connotazioni differenti da come la tradizione era abituata a percepirla.
La battaglia di Maldon e le parole del conte Beorhtnoth sono ritenute l’espressione più alta dell’eroico spirito nordico, sia inglese che norreno. Come Tolkien ha sempre sostenuto, tale forma di eroismo non è mai del tutto pura, ma corrotta nel profondo dal desiderio di orgoglio e onore e porta l’uomo verso un tipo di eccesso che interferisce con l’onore stesso.
Beorhtnoth permette ai norreni di oltrepassare la strada rialzata perché da loro chiamato a uno scontro leale; in questo modo porta se stesso, la sua gente e la sua terra alla rovina pur non dovendo nulla agli avversari, così come Beowulf combatte con Grendel senza armi per rendere lo scontro il più equilibrato possibile.
Tra i due vi sono delle differenze però: prima di tutto, la vicenda del conte anglosassone è reale, in secondo luogo, Beorhtnoth agisce così perché influenzato da una certa tradizione aristocratica più cavalleresca che eroica, quindi ha cercato l’onore mettendo a repentaglio la vita dei suoi uomini più fedeli. Senza contare che Beorhtnoth è un comandante e non un subordinato come Beowulf. Questo è il motivo per cui ofermod andrebbe tradotto con (soverchiante) orgoglio, piuttosto che semplicemente con orgoglio o temerarietà, come faceva William Paton Ker nel 1887.
La dissertazione di Tolkien termina con uno sguardo al Sir Gawain, più recente rispetto agli altri due e maggiormente critico sul codice etico della figura del cavaliere subordinato a Re Artù. Ed è proprio la subordinazione a rendere le sue scelte valorose e degne di considerazione.
Ancora una volta, a essere condannato (come nel Beorhtnoth) è il suo signore cui vengono affidati questi versi “[…] tale meglio sarebbe stato che non fatto a pezzi, decapitato da un uomo fatato per l’orgoglio nostro arrogante.”