Il Lai di Aotrou e Itroun
Scheda bibliografica
di Daniela D'Alessandro
Informazioni Bibliografiche
Titolo: Il Lai di Aotrou e Itroun
Titolo originale: The Lay of Aotrou and Itroun
Autore: J.R.R. Tolkien
Anno di pubblicazione: 1945 – Welsh Review
Anno di pubblicazione in Italia: 2023 – Bompiani
Il Lai di Aotrou e Itroun è stato pubblicato nel 1945 sulla Welsh Review, ma scritto in precedenza durante la composizione del Lai del Leithian, con cui ne condivide la forma.
Il titolo originale è Il Lai di Aotrou e Itroun (“Signore” e “Signora”), un “lai bretone”.
L’edizione Bompiani 2023 presenta il poema originale in apertura, le poesie della Fata Maligna nella seconda parte e, in chiusura, alcune bozze di manoscritti e frammenti.
Il Lai di Aotrou e Itroun
La storia narra di Aotrou, un Signore che viveva in un maniero di terra bretone, precisamente in Armorica, con la sua dama da cui non aveva avuto mai un erede. La speranza, con il tempo, si trasformò in ombra e la coppia si rassegnò alla solitudine e al silenzio della loro corte.
In una grotta nel bosco, pare vivesse una strega capace di incatenare le menti degli uomini con pozioni e filtri magici e, per questo motivo, molti se ne tenevano alla larga.
Un giorno, al calar del sole, il Signore cavalcò fino al suo ingresso e vide la donna seduta su di una pietra che gli sorrideva, consapevole del motivo per cui l’uomo si fosse spinto fin lì. Entrata nella grotta, ne uscì con in mano una fiala di vetro contenente del liquido grigio che il Signore scambiò con dell’oro. La strega non accettò perché, prima o poi, lei sarebbe tornata per chiedere una ricompensa che l’uomo non avrebbe potuto (e dovuto) rifiutare di offrirle.
Tornato al suo maniero, riposò a lungo con la sua Signora e sognò di bambini non ancora nati che correvano in giardini fioriti. Il giorno seguente ordinò che a corte fosse organizzato un banchetto che ricordasse quello delle sue nozze con fiumi di vino in argentee coppe e, in una di queste, la pozione della strega. La sua Signora bevve con occhi felici.
Il Signore continuò a sognare bambini, questa volta due, un maschio e una femmina e così si alternarono le stagioni, gli inverni lasciarono il passo alle estati e nella magione arrivarono due gemelli belli come fiori. I cuori della coppia furono allietati, Aotrou passava molto tempo a casa con Itroun che lo voleva sempre accanto a sé, ma il cibo e l’acqua iniziavano a scarseggiare, dunque il Signore cavalcò nel bosco di Broceliande con arco e corno. Vide una cerva bianca davanti a lui che lesta balzò via e si lasciò inseguire, mentre nell’aria riecheggiava una tenue risata che lo condusse fino a una trappola nascosta da foglie sul terreno.
Passato il tramonto, il Signore si trovò in riva a una pozza d’acqua fresca ove si sciacquò il viso e la vide, sotto la luna argentata che spazzolava la sua lunga chioma con un dorato pettine. “Noi c’incontriamo ancora […]” disse la strega, chiedendo ciò che lui le doveva, giacere con lei per una notte o essere mutato in pietra entro tre giorni. Il Signore riuscì a scappare e cavalcare fino alla dimora di un buon uomo a cui ordinò di preparargli il letto perché troppo stanco e spossato. Sognò di vagare, di perdersi tra i boschi ed essere inseguito dalla fata maligna che reclamava la sua mercè.
Ad Aotrou restavano due giorni di vita, ma non volle far sapere nulla alla sua Signora che lo aspettava e chiedeva ogni giorno del marito dal letto su cui giaceva da una settimana con i bimbi. Un giorno si destò perché sapeva che il marito sarebbe tornato e indossò l’abito più bello che avesse, l’anello con la gemma e la collana di perle. Non udì zoccoli di cavalli né il corno di Aotrou, solo campane a morto per un uomo malato, caduto davanti al portone del castello.
Le donne del villaggio non vollero dirle chi fosse quell’uomo e per tutta la notte Itroun febbricitante non dormì; il mattino seguente si risolse ad andare in chiesa con una candela bianca in mano e un abito nero. Varcata la soglia, riconobbe le armi e lo stendardo del suo Signore. La notte portò via con sé anche Itroun che fu sepolta sotto l’argilla accanto al suo Aotrou.
La Fata Maligna
La poesia racconta la storia di uno scambio di neonati in culla, ma Tolkien non specifica chi siano i protagonisti. Sappiamo che è ambientata in Brezail, uno degli Altri Mondi della mitologia celtica, sito sul mare o sotto un lago, oppure in caverne, grotte e foreste. In ogni caso, costituisce l’ingresso verso il mondo fatato che può esser varcato dagli uomini inconsapevolmente (come narrato ne Il Fabbro di Wootton Major o spiegato nel saggio Sulle Fiabe in Il Medioevo e il Fantastico).
Una donna andò alla fonte con il suo bambino nella culla e, dopo aver udito uno strano grido, al suo posto trovò una specie di rospo avvizzito con mani contorte e una smorfia maligna sul viso. Questa, dopo aver pregato la Vergine Maria, seppe di dover andare presso la dimora dell’eremita che le avrebbe spiegato il da farsi: macinare una ghianda e fingere di cuocerla in un guscio, poi, se l’uomo avesse parlato, prendere una spada con l’elsa a croce e colpirlo. Solo dopo il rituale, il figlio sarebbe tornato nella culla e la creatura immonda fuggita nel luogo da cui proveniva.
Il Frammento; Gli Abbozzi; Manoscritti e Dattiloscritti
L’ultima parte dell’opera spiega come Tolkien sia passato dalle poesie della Fata maligna al Lai più complesso su Aotrou e Itroun e come abbia rielaborato il materiale originale.
Il frammento analizzato conta ventinove versi e non ha alcun titolo; si interrompe quando Aotrou raggiunge la grotta della Fata e, per la prima volta, introduce nella storia la mancanza di figli della coppia.
Seguono diversi abbozzi manoscritti che collocano la vicenda in terra di Bretagna, oltre ai mari, e danno informazioni circa i nomi dei due protagonisti e il genere dell’opera. Il lai era una poesia francese molto diffusa a cavallo tra XII e XIII secolo, nata ad opera di Maria di Francia. Nella biblioteca tolkieniana erano presenti molti lai da cui, probabilmente, prese spunto per scrivere le sue versioni bretoni.
Del dattiloscritto, invece, sappiamo che si tratta dell’ultima versione da cui poi deriverà quella finale pubblicata sulla “Welsh Review”. Consta di quattordici pagine e 490 versi a cui se ne aggiungeranno sedici nella definitiva. Presenta molte sostituzioni, cancellazioni e riscritture tese ad affinare lo stile e renderlo più elegante. Un cambiamento decisivo riguarda lo sviluppo dei processi mentali di Aotrou che lo avvicina quasi a un personaggio shakespeariano, che cade volutamente in errore e diventa artefice del proprio nefasto destino.
L’opera si conclude con una comparazione filologica tra le poesie.